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Il Dio Fluviale ritorna a Firenze

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di Rosetta Perfetta

Firenze sogna di nuovo il suo fiume addormentato. Dopo un lungo silenzio, il Dio Fluviale di Michelangelo riemerge dall’ombra dei secoli e torna a posarsi, come un respiro trattenuto, nelle stanze dell’Accademia delle Arti del Disegno. È un ritorno che somiglia a un risveglio: un corpo fragile, composto di paglia e argilla, che la città riconosce come una parte di sé, come se l’Arno stesso, mutato in materia e luce, avesse trovato una forma umana per farsi ricordare.

Non è marmo, non è pietra: è un sogno del marmo, un pensiero sospeso prima che la mano lo condanni alla permanenza. Michelangelo lo aveva concepito come modello per la Sagrestia Nuova, forse intorno al 1525, quando la morte e la bellezza si inseguivano nelle sue notti febbrili. Ma ciò che doveva essere solo un passaggio, un tentativo di dare peso alla visione, ha resistito al tempo come un frammento di respiro pietrificato. Il Dio Fluviale è rimasto a mezzo tra idea e sostanza, tra sogno e materia — un dormiente che non ha mai smesso di sognare se stesso.

Si direbbe che Michelangelo, in quel gesto interrotto, abbia voluto custodire il mistero del divenire. Questo corpo disteso, fragile come una reliquia vegetale, non è un’opera compiuta ma una meditazione incarnata: un pensiero che non ha voluto farsi definitivo. Ogni crepa, ogni erosione, parla del tempo non come nemico, ma come secondo scultore. La pelle del fiume è un testo che solo la luce sa leggere.

La sua storia si intreccia con quella dell’Accademia, nata nel 1563 sotto il segno dei Medici e di Vasari, quasi a voler dare ordine al caos dell’ispirazione. Nel 1583, Bartolomeo Ammannati offrì questo corpo dormiente all’istituzione, come un pegno di continuità. Da allora, il Dio Fluviale è rimasto lì, a metà tra la vita e la memoria, a ricordare che anche l’arte può dormire senza morire.

Il recente restauro — una cura più che un intervento — non ha voluto ridare giovinezza al corpo, ma ascoltarne la voce antica. Gli specialisti hanno lavorato come medici del sogno, lasciando che le cicatrici parlassero. Nessuna cancellazione, nessuna maschera: solo la restituzione del tempo alla sua verità. Il fiume, oggi, non scorre ma sussurra.

L’allestimento all’Accademia lo accoglie in penombra. La luce cade su di lui come un pensiero distratto, rivelando a tratti la curva di un fianco, il silenzio di un volto. Non si entra in una sala, ma in una soglia: l’aria stessa pare rallentare, e il visitatore diventa parte del sogno. L’opera non è esposta — è evocata. La si incontra come si incontra una presenza: qualcosa che esiste solo finché lo sguardo lo crede vivo.

E in quell’attimo, Michelangelo sembra parlarci del riposo. L’energia, che nel David si tende e nella Pietà si strazia, qui si placa. Il fiume non lotta, non scorre: medita. È il sonno della forza, la resa dell’idea al mistero della sua forma. Nel Dio Fluviale l’artista si riconosce mortale, e lascia che la materia lo consoli.

Il suo ritorno a Firenze non è solo un evento, ma una preghiera. La città, che ha visto nascere e disperdere le sue glorie, ora riaccoglie il segno più fragile della sua eternità. È come se il tempo avesse voluto restituire alla pietra la sua anima di fango, ricordandoci che ogni splendore nasce dalla terra umida, non dal cielo.

Michelangelo, che cercò per tutta la vita la perfetta coincidenza tra idea e forma, avrebbe forse sorriso di questa resurrezione incompleta. Perché il Dio Fluviale non trionfa: respira. È l’immagine dell’impermanenza, dell’arte che non domina ma accompagna. Il suo ritorno ci insegna che la conservazione non è fissare, ma custodire il tremito.

Nelle sale dell’Accademia, il fiume dorme di nuovo, e Firenze con lui. Tra i veli di luce, il suo corpo di gesso sembra pulsare, come se da un momento all’altro potesse aprire gli occhi. È un sogno che la città fa su se stessa — un sogno di ritorno, di materia e di grazia. E nel suo silenzio, Michelangelo continua a scolpire l’invisibile: la forma segreta del tempo che scorre, e che, per un istante, osa fermarsi.

 

 

 

(19 ottobre 2025)

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